Ti racconto il primo vero fallimento della mia vita
Già in un precedente post ho raccontato la mia esperienza sportiva pugilistica.
Passione nata ed evoluta in tanti anni, passando dalla categoria “super leggeri” e finendo come “medio massimo”.
Volevo sempre essere al TOP delle mie prestazioni, allenandomi 5 giorni alla settimana e, sotto match, 6 giorni su 7. La determinazione e la concentrazione, portando il fisico sotto stress a questi livelli, deve essere tanta, ma questo é il pugilato: un mix ben calibrato di determinazione, concentrazione e passione.
Da “maledetto mancino” (così vengono definiti in questo sport) ero ostinato a vincere ogni singolo incontro. Mai ricevuto un K.O., mai fatto un passo indietro, zero paura e sempre avanti. Volevo fare ed ero pronto per fare i campionati. Questa era la priorità avanti a tutto in quel periodo della mia vita.
Poi, prima dei campionati, arriva il match con Rodriguez. Ottimo pugile di Arezzo, ma ero fin troppo sicuro di me per farmi condizionare.
Suona la campanella e l’arbitro fa segno “pugili al quadrato”. Inizia la prima ripresa, ma succede qualcosa di strano. Lancio uno dei miei sinistri diretto al volto, ma lui, fatalità vuole, in quel preciso momento abbassa leggermente la testa colpendolo con forza nella fronte. Vedo le sue gambe leggermente cedere, ma resta su e il suono della campana da fine al primo round.
Rientrando al mio angolo sento qualcosa di strano alla mano. Mi giro verso il Maestro dicendogli “mi fa male la mano”, ma accaldato e pieno di adrenalina non comprendevo bene cosa fosse successo. Neanche il tempo di metabolizzare il dolore che il suono della campanella da inizio al secondo round, mentre il dolore saliva intensificandosi.
Entro in uno stato di trance diventando estremamente sensibile e concentrato. Il dolore, le persone che gridavano il mio nome, il Maestro a motivarmi dall’angolo fecero emergere gli “occhi della tigre“. Non mi fermai, continua a scagliare quel “maledetto sinistro” più e più volte sul volto di Rodriguez. Continuo così per un’altro round finché l’ultimo suono della campanella dichiara finito il match.
Il verdetto mi diede vittoria. Esultai come non mai! Una esultazione strana e premonitrice, facendomi capire che quel match avrebbe lasciato un segno indelebile.
Cala l’adrenalina e il dolore si intensifica. Il maestro mi toglie i guantoni e le fasce soddisfatto del suo pugile, ma subito la sua faccia cambia espressione diventa bianca. La mano nera, gonfia con il dito indice spostato, non certo un bello spettacolo da vedersi.
Senza neanche docciarmi mi portano al pronto soccorso, repertandomi una multi frattura scomposta del metacarpo e della nocca. Il mio primo e unico pensiero in quel momento é stato “no! Non potrò più combattere!”.
A seguito ebbi 6 mesi di riabilitazione con 2 operazioni alla mano.
Nel frattempo non smettevo di allenarmi, ero ostinato, correvo e facevo tutti gli esercizi di sempre, solo senza colpire con il sinistro.
In quel periodo dell’anno, parlo di fine luglio, dopo il secondo intervento, non potendo guidare, chiesi ai miei genitori di portarmi al terreno del Nonno, un posto molto vicino al mare (zona Baratti, vicino Piombino) in cui non c’era niente attorno. Dormivo in una amaca, mi docciavo con la sistola con la quale annaffiavamo le piante e mangiavo quello che potevo cuocere sulla brace. Lì comprai il mio primo libro (mai letto libri prima di quel giorno), facendomi attirare, come succede spesso, dal titolo e dalla copertina – autore Paulo Coelho – rilevandosi però un grande libro. La mattina la passavo allenandomi – determinato a ricominciare -, il pomeriggio leggevo e prima del tramonto facevo una lunga passeggiata attraversando la collina che separava il terreno del Nonno dal mare.
Tolto il gesso e i ferri dalle mani feci un lungo periodo di fisioterapia e continuavo ad allenarmi in palestra. Niente, il dolore era sempre forte. Nel frattempo passano 6 mesi dal giorno dell’infortunio. Perdo il lavoro dopo un lungo periodo di malattia (facevo l’elettricista).
Un giorno, mentre facevo sparring dovetti fermarmi, come spesso succedeva da tempo, per il dolore. Il mio Maestro, vedendomi sempre più sofferente disse “basta. Fermiamoci”. Con quelle parole diede fine al capitolo della mia vita dedicato al pugilato agonistico.
Depresso e avendo perso tutto, la passione pugilistica ed il lavoro, decisi di partire e andarmene lontano. Feci un biglietto di solo andata per Londra, ma questa è un’altra storia.
Oggi, con il senno di poi, raccolgo lo sviluppo a seguito di questo fallimento come componente fondamentale di crescita. Ho fallito come pugile ma grazie a questo ho incontrato la letteratura, la stessa che mi ha permesso di allargare la mente e vedere al di là delle semplici cose, andando nel profondo e non restando fermo immobile in superficie.
Questo è stato per me un fallimento costruttivo, ma solo perché ho avuto la determinazione di reagire positivamente evitando di restare passivo a esso.
Adesso rispondo alle sfide che la vita mi presenta combattendo con lo stesso spirito di ex pugile: “mai fare un passo indietro, zero paura e sempre avanti.” E se anche con l’impegno ricevo un bel K.O. non mi lascio abbattere moralmente. Mentre mi rialzo, guardando il pavimento segnato dal mio sudore, rifletto con attenzione, lancio un bel sorriso di sfida e dico “oggi hai vinto tu caro amico! Ma grazie alla tua vittoria io sarò ancora più forte e la prossima volta assaporerò io il sapore della vittoria. Contaci!”